NUOVI INCARICHI

Grato per questi anni vissuti con i seminaristi

Don Fabio Molon, dopo cinque anni come vicerettore del Quadriennio, lascia la comunità del Seminario. L’Arcivescovo lo ha destinato alla Comunità pastorale “Beato Carlo Acutis” di Cologno Monzese, dove sarà ufficialmente accolto il prossimo 1 settembre.
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Cosa hanno voluto dire, per la sua vita e per il suo cammino di fede, questi anni da vicerettore in Seminario?
La richiesta del Vescovo, cinque anni fa, di assumere l’incarico di vicerettore è giunta totalmente inaspettata, mai avrei pensato di tornare in Seminario e di tornarci con un ruolo educativo. Come ogni richiesta inaspettata ha avuto anche le sue fatiche e le sue rinunce, ma sono grato al Signore e alla sua Chiesa per questi cinque anni che mi hanno permesso di affiancare il cammino formativo e di discernimento dei seminaristi; ho potuto così conoscere la loro storia vocazionale e stupirmi per come Dio continua ad agire e a chiamare.
In questi anni ho potuto vivere in un ambiente privilegiato dove la proposta spirituale è alta e curata, dove la riflessione teologica è fine e profonda, dove le relazioni sono sempre sollecitate dalla vita comunitaria. Infine questo incarico mi ha permesso di incontrare tanti preti e visitare tante parrocchie, imparando a conoscere un po’ di più la nostra Diocesi.

Quali esperienze sono state per lei più significative?
Sono stati significativi i due viaggi in Terra Santa. Come da seminarista, così anche da vicerettore, ho potuto gustare la bellezza di quella terra nella proposta prolungata e approfondita che il Seminario offre.
Più ordinaria, ma sicuramente più significativa, invece, è stata la “riunione del lunedì mattina” vissuta tutte le settimane con i formatori. Quella è l’occasione per uno sguardo condiviso sui singoli seminaristi, sul loro cammino e la loro formazione, ma è anche il primo luogo dove si riflette sul Seminario e sulla sua proposta educativa.
Inoltre riconosco come significativi i momenti di incontro personale con i seminaristi: il confronto sulle esperienze pastorali, la rilettura di alcune dinamiche comunitarie, lo sguardo più ampio sulla figura del prete o sulla Chiesa.
Infine questi cinque anni sono stati caratterizzati dalla pandemia. Sono stati anni complessi dove non è stato semplice armonizzare protocolli e regole sanitarie con le dinamiche e le esigenze di una vita comunitaria, anni in cui le esperienze sono state molto limitate.
Alla fine ho fatto il vicerettore solo in due anni “normali”: il primo e l’ultimo.

Con quale animo si appresta a iniziare il suo nuovo incarico a Cologno Monzese?
Innanzitutto inizio il mio servizio a Cologno Monzese con il desiderio di tornare in parrocchia “a tempo pieno” e sono contento di poterlo fare a servizio della Pastorale giovanile della città. Anche in questo caso, non sono mancati i timori e le preoccupazioni per una realtà che appare molto grande e quindi anche complessa. Ho imparato però che l’obbedienza porta con sé una profonda pace del cuore che già ora sto sperimentando. Vivo questi mesi pregando per la comunità cristiana di Cologno, nell’attesa di incontrare le persone che sarò chiamato a servire e accompagnare.
Ho già avuto la possibilità di incontrare i preti della città, che mi hanno accolto con grande stima e benevolenza. La loro accoglienza ha aumentato il desiderio di potermi inserire presto nel cammino di quella comunità.

Che desideri ha per questo nuovo passo?
Desidero, e lo chiedo al Signore come dono, di riuscire a tenere insieme le due esperienze che ho fatto finora nel mio ministero: la Pastorale giovanile e il servizio al Seminario. Di questi ultimi cinque anni desidero custodire il primato della preghiera e la cura per la vita spirituale, ma anche l’attenzione a proporre il “Vangelo della vocazione”. Dall’altra chiedo al Signore la grazia di essere un prete a appassionato alla gente, che sa ascoltare, che desidera incontrare, che sa mettersi a servizio.

Cosa porterà in parrocchia dell’esperienza vissuta con i giovani e con il loro discernimento vocazionale?
In questi anni di Seminario credo di aver consolidato alcune convinzioni. La prima è che è molto importante avere personalmente e poi proporre ai ragazzi una regola di preghiera, cioè avere dei tempi custoditi per mettersi in silenzio davanti a Gesù.
La seconda convinzione è che è importante l’accompagnamento personale: un ragazzo va affiancato e accolto così come è, senza pregiudizi, senza pretendere che corrisponda alle proprie aspettative o ad una visione “classica” di vocazione. I ragazzi di oggi hanno storie e vite talmente complesse che un cammino di fede può nascere in modo poco convenzionale, ma non per questo meno valido.
Infine è importante che i cammini parrocchiali si aprano ad una visione di Chiesa più ampia. Un’esperienza di Chiesa reale si può fare quando si apre a livello diocesano o addirittura mondiale, come nel caso della Giornata mondiale della gioventù.

In Seminario ha potuto coltivare la sua passione per la montagna?
Fortunatamente sì. Il mio tempo era scandito dal calendario seminaristico e così, appena si poteva, durante le vacanze o i pomeriggi a disposizione, mi sono dilettato a conoscere tutte le vette delle montagne del Varesotto.
Con i seminaristi non ho avuto molte occasioni per andare in montagna, anche se è stato bello, con una classe in particolare, potersi rivede dopo il primo lockdown che ci aveva costretti chiusi nelle nostre camerette. Quella camminata è stata un’occasione per guardarci in faccia e rileggere il proprio vissuto, dopo un periodo non facile.
La passione per la montagna risale alla mia adolescenza in oratorio, quando si facevano le vacanze comunitarie, di cui ho ricordi bellissimi.
La montagna mi piace perché è educativa: per arrivare in cima si deve mettere in conto tanta fatica, ma poi il panorama che si può contemplare dall’alto ripaga di tutto. C’è una frase dell’alpinista Walter Bonatti che suona così: «Chi più in alto sale, più lontano vede e chi più lontano vede, più a lungo sogna». La reputo una buona metafora della vita.

Tra le altre esperienze ci sono la “Tre giorni chierichetti” e la “Missione vocazionale”. Cosa le hanno fatto scoprire del mondo giovanile?
La “Tre giorni”, che ho vissuto a mia volta come chierichetto, cerimoniere, seminarista, coadiutore e infine vicerettore, è la conferma che il servizio all’altare è una porta spalancata all’esperienza di fede. La Missione vocazionale” è stato un chiaro spaccato di pastorale: i giovani si fanno domande sulla vita e sulla vocazione, ma è complicato intercettarli. Se organizziamo qualche iniziativa il più delle volte nessuno viene, dunque siamo noi, preti ed educatori, che dobbiamo inserirci nel vissuto dei giovani. Tanto è vero che gli incontri nelle scuole, durante i giorni di “Missione vocazionale”, riscuotono sempre grande successo, così pure è molto gradita la partecipazione dei seminaristi agli incontri di catechesi nelle varie parrocchie. Solo se ci inseriamo nella vita quotidiana dei ragazzi riusciamo ad intercettarli e a provocarli.

Tratto dal numero 7-8 (agosto-settembre 2023) di “Fiaccola”