Missioni

Zambia: scuola di vita, di Chiesa e di umanità

Don Angelo Bellati, oggi parroco della comunità S. Maria Nascente e Beato Mazzucconi a Sesto San Giovanni, ci racconta la sua esperienza come Fidei donum in Zambia, Paese che ha lasciato da pochi mesi, ma che porta ancora nel cuore per quel bagaglio di umanità, di storie, di incontri, di esperienze che lo hanno segnato e cambiato.
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Il 26 aprile nel primo pomeriggio mi trovavo all’aeroporto di Lusaka pronto a prendere, come altre volte, un volo per l’Italia, ma questa volta c’era qualcosa di insolito: avevo, per la prima volta dopo 12 anni, un biglietto di sola andata e questo rendeva il viaggio estremamente diverso e per certi versi faticoso.
Ricordi, volti, paesaggi, villaggi, suoni, profumi, sguardi mi passavano davanti e i pensieri si accavallavano. Si stava girando una pagina importante del libro della mia vita e del mio essere prete e sembrava che tutto stesse per finire improvvisamente. Ma non stavo tornando a casa a mani vuote, avevo con me un
bagaglio di umanità, di storie, di incontri, di esperienze che mi avevano segnato e per certi versi cambiato. Quello che avevo imparato era un tesoro che dovevo e volevo custodire.
E ciò che mi sembra di aver imparato lo condivido in queste righe perché il senso e il fine dell’essere un prete Fidei donum è quello di creare un legame e uno scambio con un’altra Chiesa e far sì che questo
legame diventi occasione di arricchimento per entrambi.

LA PRESENZA DI DIO
La gente dello Zambia sa e crede che Dio è presente nel momento della difficoltà, come nei momenti sereni e belli della vita. Se dici con preoccupazione: «Non piove da tanto tempo», la risposta sarà: «Mulungu adzatipatsa mvula» (Dio ci darà la pioggia). Se consoli una donna che ha il figlio malato, la risposta sarà: «Mulungu adziwa» (Dio lo sa). Quando hai ricevuto un dono, la risposta è: «Mulungu
akudalitseni» (Dio ti benedica). Tutto questo dona un senso di fiducia e di pace che diventa il sostegno per affrontare le difficoltà della vita quotidiana e per accettare che, qualche volta, la risposta di Dio non è esattamente quella che volevi.

LA GIOIA DI VIVERE
Ho imparato la vita e la gioia di vivere. Sì, perché la vita in Zambia è fatta dei colori e dei suoni del mercato, delle corse e degli schiamazzi dei bambini, delle carriole stracariche che passano tra le auto in coda al semaforo, dei saluti inaspettati di chi incontri per strada, dei canti che accompagnano le celebrazioni. A dire la verità, il popolo zambiano ha una vita più difficile della nostra. Tutto è piuttosto provvisorio. Ma è così che ho imparato la vita, perché ho incontrato persone che davvero lottano per la vita, per il cibo, per la salute, per la scuola dei figli, per un posto di lavoro… Eppure lo zambiano è sempre sorridente, saluta per strada anche quelli che non conosce, risponde sempre «bene» quando gli chiedi: «Come stai?». Anche alla cassa del supermercato ti chiedono: «Come stai?» e non: «Ha la tessera?».

LA SINODALITÀ
Ho imparato che l’annuncio del Vangelo passa in una vita condivisa e che il successo delle iniziative non è legato alla bontà della sua promozione, ma piuttosto dipende dalla passione e dall’entusiasmo con cui si prova a contattare e coinvolgere l’altro.
Che bello stare in mezzo a discepoli di Gesù che diventano contagiosi di Vangelo, entusiasti annunciatori di qualcosa di bello e non timorosi protettori e custodi di scelte personali!
Ho imparato la sinodalità. Ho imparato che è possibile per i laici essere responsabili nelle comunità cristiane. È, infatti, incredibile e per certi aspetti commovente costatare l’impegno e la dedizione di
persone, catechisti, leaders, che per anni, a volte anche senza il prete, hanno portato avanti e sostenuto la vita e la fede di tante comunità cristiane. Ancora, ho imparato la sinodalità perché ho imparato ad accettare che le decisioni del Consiglio pastorale potessero anche essere diverse da quello che io avevo pensato o immaginato.
Ho imparato che è possibile una Chiesa di prossimità in cui i leaders delle piccole comunità cristiane si sentono responsabili di conoscere, accompagnare, sostenere la vita dei loro fratelli e sorelle; una Chiesa in cui anche i poveri sanno prendersi cura dei più poveri.

COMUNITÀ E FRATERNITÀ
Ho imparato a celebrare il giorno del Signore. Ho visto la bellezza di comunità che preparano e celebrano tutti insieme l’Eucaristia domenicale, possibilmente nella stessa chiesa e allo stesso orario, e che poi si fermano in parrocchia per incontri, catechesi, prove di canto. E nel pomeriggio tutti ci si ritrova ancora nelle piccole comunità cristiane per lo scambio sulla Parola di Dio, la visita ai malati, la formazione. E anche la celebrazione dei sacramenti è fatta in modo comunitario, perché si tratta davvero di un momento di gioia e festa per tutta la comunità e non solo per la famiglia che è direttamente coinvolta.
Ho imparato la fraternità, la bellezza di condividere questa esperienza di missione con altri preti, la gioia e l’importanza del sostenerci a vicenda, la bellezza del condividere la vita, la casa, le preoccupazioni, i desideri, i progetti, i soldi…
Ho imparato a guardare il mondo da un altro punto di vista; ho imparato che è possibile vivere non avendo sempre fretta; ho imparato che quando piove, non è brutto tempo, ma semplicemente piove;
ho imparato… L’elenco potrebbe allungarsi ancora perché davvero l’esperienza missionaria in Zambia è stata una scuola di vita, di Chiesa, di mondialità, di umanità, di Vangelo.
Il 27 aprile, al mattino presto, il volo partito da Lusaka è atterrato a Malpensa; non so se posso dire di essere atterrato anch’io, quello di cui sono certo è che il bagaglio che portavo con me era qualcosa di importante che spero possa aiutarmi a continuare il mio servizio nella Chiesa con uno spirito e uno sguardo nuovo.

Tratto dal numero 10 (Ottobre 2024) di “Fiaccola”