COMMENTO ALLA PARABOLA

«Gli ultimi saranno i primi»

La parabola degli operai nella vigna ci insegna che non è mai troppo tardi per potersi dedicare alla Chiesa e alla scoperta della propria vocazione, esattamente come avvenuto per i diaconi che verranno ordinati il prossimo 10 giugno: nessuna vocazione è migliore di un’altra
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Quante volte abbiamo ripetuto «Gli ultimi saranno i primi», magari alla fine di un gioco, dopo aver vinto, per scherzare sui nostri avversari, oppure dopo aver perso, per avere una specie di premio di consolazione. Per Gesù, però, questa frase non è soltanto un contentino, ma una verità che è ben spiegata nella parabola dei lavoratori nella vigna (Mt 20,1-16) e su cui 15 giovani della nostra Diocesi, che a breve saranno ordinati preti, scommettono la vita.

Il padrone scende in piazza

Il racconto si apre con un uomo che scende in piazza la mattina presto per cercare dei lavoratori a giornata per la sua vigna.

Ai tempi di Gesù era comune che gli operai fossero assunti a giornata, cioè solo per quel giorno. Dobbiamo immaginarci questa piazza gremita di persone, fra le quali ci sono sia tanti lavoratori disponibili che altrettanti datori di lavoro; gli operai devono essere, oltre che bravi a lavorare, attenti nell’ottenere un guadagno adeguato e a non lasciarsi truffare dal loro capo. Uno stipendio medio per un lavoratore dell’epoca era di un denaro al giorno, perciò il padrone della parabola è onesto ad offrire quella cifra.

I lavoratori della vigna

Alcuni uomini sono già lì, accettano lo stipendio di un denaro e iniziano subito a lavorare; sanno che la loro giornata di lavoro è iniziata all’alba e finirà al tramonto, ma sanno anche che il loro padrone li pagherà onestamente e, chissà, se saranno bravi gli verrà data pure una mancia.

Ma questi lavoratori sono ancora pochi per la vigna, perciò il padrone torna in piazza una, due, tre, quattro volte e assume altre persone. Tenendo conto che lavorerebbero fino al tramonto e che in questo periodo in Palestina il sole tramonta circa alle 19, gli operai chiamati per ultimi faticherebbero solo alcune ore. Ma questo al padrone non importa, lui vuole che nessuno stia tutto il giorno con le mani in mano a far niente. È un padrone molto simile a quello della parabola dei talenti, che desidera che ogni persona dia il massimo di sé.

L’ora dello stipendio

Dopo tanto sudore, al tramonto arriva il momento della paga e i lavoratori si mettono in fila per ricevere il meritato compenso. Succede qualcosa di strano, perché il padrone inizia a pagare gli operai arrivati per ultimi. Ed ecco che consegna al primo un denaro, un denaro a quello dopo e anche a quello dopo ancora.

È arrivato il turno degli operai della prima ora, coloro che hanno lavorato dall’alba, sicuri di venire ricompensati per la molta fatica e invece ricevono un denaro anche loro. «Non è giusto, noi abbiamo lavorato più degli altri», pensano e si lamentano con il padrone.

Guardando le storie dei 15 diaconi che verranno ordinati il prossimo 10 giugno, scopriamo che alcuni sono stati chiamati molto presto, altri diversi anni dopo.

Si può dire che il migliore è quello che ha capito subito la sua vocazione e non anni più tardi? No, figuriamoci se nella parabola possiamo dirlo per qualche operaio che ritarda solo di poche ore.

Oggi siamo abituati che più facciamo, più siamo bravi, più siamo migliori degli altri, più dobbiamo essere ricompensati. Dio non fa così, darà a ciascuno la propria ricompensa, ma con il suo criterio e non con il nostro. Il Signore desidera che diamo il massimo, che non stiamo seduti sul divano a far nulla.

Papa Francesco, durante la Giornata mondiale della Gioventù del 2016, diceva che «bisogna decidersi a cambiare il divano con un paio di scarpe che ti aiutino a camminare su strade mai sognate e nemmeno pensate».

Gli operai dell’ultima ora hanno rischiato di addormentarsi sul divano, ma alla fine hanno preso le loro scarpe e sono scesi in piazza, proprio come i futuri preti novelli.

Il Signore parte dagli ultimi per ricordarci che non è mai troppo tardi per alzarci dal divano, per cercare la nostra vocazione, per donare la nostra vita. Lui è lì che ci aspetta in piazza, e noi?

Tratto dal numero 6-7 (giugno-luglio 2023) di “Fiaccolina”