Tra le varie esperienze estive dei seminaristi di Milano ce n’è stata una missionaria nel continente africano, cui hanno preso parte Claudio Darman, di quinta Teologia ed il sottoscritto.
Abbiamo trascorso il mese di agosto, precisamente dall’1 al 28, tra l’Uganda ed il Kenya, visitando due contesti molto diversi. Abbiamo vissuto questa esperienza con i missionari della Consolata, per stare a contatto con sacerdoti di una congregazione con un carisma missionario e con un grande radicamento, nel tempo e nello spazio, in terra africana.
Siamo stati accolti infatti in due parrocchie, una in Uganda e una in Kenya, guidate da due padri missionari per ciascuna, tutti e quattro africani (due kenyani, un etiope, un congolese).
In entrambe le parrocchie abbiamo condiviso in tutto e per tutto la vita e la missione con i rispettivi sacerdoti, vivendo nella loro casa parrocchiale e prendendo parte a tutte le loro attività pastorali.
Con tutti e quattro i preti abbiamo creato in breve tempo delle relazioni di amicizia, imparando da loro molti aspetti legati alla vita della gente in Africa.
È stata una ricchissima immersione nei contesti locali, prendendo parte alla vita delle comunità cristiane, partecipando alle Messe, agli incontri dei catechisti e dei gruppi giovanili, conoscendo famiglie, anziani e malati, bambini e ragazzi e visitando anche molte scuole.
CASE DI MATTONI SU UNA STRADA STERRATA
In Uganda abbiamo trascorso due settimane in un villaggio chiamato Kapeeka, nel distretto di Nakaseke, nella zona centrale del Paese, la quale si caratterizza per i suoi rilievi collinari molto verdi per la fitta vegetazione.
Il villaggio di Kapeeka si presenta come un agglomerato di piccole case di mattoni e negozi affacciati su una strada sterrata. La gente vive in maniera semplice, di agricoltura, allevamento e di attività commerciali nei negozi o nei mercati della zona. Si intravedono, poco fuori del villaggio, le fabbriche cinesi dove lavorano molti giovani di Kapeeka.
Gli autoveicoli che si vedono passare fanno la spola con la capitale per trasportare persone e merci.
Salta subito all’occhio come la gente viva mediamente nella povertà. Ciò che ha colpito me e Claudio è che, nonostante il basso tenore di vita, la gente non appare mai rassegnata o triste; ovunque ci siamo recati ci è stata trasmessa una grande carica di allegria e di gioia. C’è tanta purezza, tanto calore nel modo di accogliere due stranieri come noi e questa sensazione ci ha accompagnati per tutta l’esperienza.
Colpisce molto, di questo contesto, come la comunità cristiana sia davvero viva e partecipata. La nostra attività è consistita, in primo luogo, nella visita di alcune delle ventidue sotto parrocchie poco distanti
da Kapeeka. Si tratta di comunità più piccole, dipendenti da quella centrale, che si radunano per la Messa in chiese di mattoni, senza pavimento e con un tavolino come altare. Commuove il modo in cui la gente di ogni comunità ci ha accolto e ha ascoltato le nostre storie. In diversi giorni abbiamo visitato asili,
scuole primarie e scuole secondarie, trascorrendo molto tempo, facendo giocare i bambini più piccoli e chiacchierando con gli studenti in lingua inglese.
TRADIZIONI TRIBALI
Ci siamo poi spostati in Kenya con un lungo viaggio in pullman e, dopo un giorno e una notte di riposo nella capitale, Nairobi, ci siamo diretti verso Sereolipi, la seconda parrocchia della nostra missione, la quale si trova nel centro-nord del Paese, nella contea Samburu.
L’area ha l’aspetto tipico della savana: molto pianeggiante, ricoperta di sabbia e cespugli bassi, con un clima semiarido. Anche in questo caso c’era un piccolo agglomerato di case e negozi in cui si trovava anche la nostra casa parrocchiale ed un edificio per riunioni e incontri adibito a chiesa.
Il Kenya è diviso in quarantasette distretti abitati da altrettante tribù, parlanti ciascuna un dialetto differente, oltre al Kiswahili, lingua nazionale.
Ci ha subito colpito il fatto che le persone abbiano un senso di appartenenza molto più forte alla propria tribù rispetto a quello per la nazione del Kenya. Abbiamo constatato come la popolazione di queste aree conservi tradizioni tribali nel modo di costruire gli edifici, nelle attività lavorative e a livello sociale e religioso. Con queste persone abbiamo più volte celebrato la Messa all’ombra di un albero, insieme alle
donne e ai bambini Samburu, mentre gli uomini erano a caccia o a pascolare il loro gregge di pecore.
Parte della popolazione Samburu si è invece sganciata dalla vita tribale, pur senza abbandonare la sua identità e le sue tradizioni, scegliendo di vivere nella zona vicino alla parrocchia. Abbiamo incontrato molti giovani a Sereolipi, costruendo in breve tempo delle belle amicizie e condividendo racconti ed
esperienze diverse. Molti di essi prendono parte alla vita della parrocchia dando una mano ai padri missionari per i lavori manuali, curando l’animazione musicale delle Messe e organizzando giornate di festa e di ritrovo per la gente.
Tratto dal numero 10 (Ottobre 2023) di “Fiaccola”