Nel grido di Gesù sentiamo l’eco di tutte le nostre domande di fronte al dolore e alla morte. Questioni serie, dure come macigni che pesano sul cuore. Ci fa bene vedere che anche Gesù condivide certe domande. Se ha domandato lui, possiamo farlo anche noi. Se ha gridato lui a Dio, osiamo farlo anche noi. È preghiera. Con lui possiamo rivolgere in alto le nostre domande: «Dio mio, Dio mio, perché?».
Il dubbio
Il silenzio che resta, però, ci inchioda. In questo spazio vuoto si insinua il dubbio: «Dov’eri Dio? Perché non hai fatto niente? Ci hai abbandonato?! Non solo quando ti ho pregato io, ma pure Gesù… Se gli volevi bene, perché non hai risposto?».
In questo silenzio la nostra mente corre e cerca di rispondere, riempiendo il vuoto con i propri ragionamenti.
È così che la domanda diventa dubbio: «Perché il Padre non ha fatto niente?».
Nel tentare di riempire il silenzio di quel venerdì santo si è diffusa, purtroppo, una scorretta spiegazione teologica che, a lungo, ha plasmato il nostro immaginario su Dio. La spiegazione suona più o meno così: la croce sarebbe il sacrificio che Dio vuole per rimediare al peccato del mondo.
Dunque, Dio Padre sacrifica il proprio figlio, per la nostra salvezza.
Scusate: ma che razza di Padre è? Quale papà, oggi, accetterebbe di sacrificare il proprio figlio, foss’anche per la salvezza di tutti?
Gesù non ha forse detto: «Se voi che siete cattivi sapete dare cose buone… quanto più il Padre vostro».
Come è possibile che abbiamo accettato un’immagine tanto aberrante di Dio?
Padre, nelle tue mani
Lasciamo ancora una volta che sia Gesù a parlarci di Dio, senza applicargli le nostre idee preconcette. Anzi, lui stesso è la risposta di Dio!
Nel Vangelo di Luca troviamo queste ultime parole di Gesù: «Padre, nelle tue mani affido il mio spirito».
Anche sulla croce Gesù chiama il Padre; non smette di rivolgersi a lui: per invocarlo, per affidarsi e gridare. Si dice che un uomo quando muore chiami la mamma. Gesù, come in tutta la sua vita, chiama l’Abbà, il papà! Come nei momenti più forti della sua vita, anche lì si rivolge a lui, dialoga con lui. Non è solo, ma ha il Padre. Potrà anche gridare e prendersela… ma con lui!
Il venerdì santo dimentichiamo troppo spesso il Padre e lo Spirito: sulla croce Gesù è in dialogo con il Padre e ci dona lo Spirito, come insegna il Vangelo di Giovanni.
Insomma, la croce non è un affare privato di Gesù, ma dell’intera Trinità.
Così, in quel silenzio assordante, la croce apre uno squarcio sul cuore di Dio-Trinità.
Del resto, ci aveva preparati lui, nei discorsi dell’Ultima cena: «Chi vede me, vede il Padre» (Gv 14,9); dunque, sulla croce, non è scomparso, ma si fa manifesto.
«Come il Padre ha amato me, così io ho amato voi» (Gv 15,9): ecco come Gesù si sente amato dal Padre: lui per primo dà la propria vita per il Figlio.
«Io e il Padre siamo una cosa sola» (Gv 10,30): Gesù non è solo; sono Uno. Sono insieme, sempre (Gv 14,11).
La Trinità vive il dolore
La croce non è un dramma privato solo di Gesù, ma un evento di tutta la Trinità. Per fissarlo, ci può aiutare una di quelle pagine di teologia scritte a colori sui muri della chiesa: la Trinità del Masaccio, nella Basilica di S. Maria Novella a Firenze, splendidamente commentata da don Tonino Bello.
È un singolare affresco intitolato Trinità, ma che riproduce la Crocifissione: il Padre è alle spalle del Figlio in croce, quasi per proteggerlo, sollevarlo, e tra i due aleggia la colomba dello Spirito.
Si noti che il crocifisso si sovrappone al Padre, quasi ad essere uno squarcio sul cuore invisibile. Il Padre è alle spalle della croce: in quella posizione Gesù non può vederlo o sentirlo, ma è vicino. È presente nell’ora della morte. Anzi, solleva la croce, quasi ad alleggerire il peso.
Dio Padre, con le braccia distese, sostiene con i suoi polsi non solo il legno, ma anche il carico delle sue ferraglie patibolari e soprattutto il peso del condannato.
Lontanissime le idee facili, ma poco bibliche di un Dio Padre assente, che non soffre e non “patisce” la croce. Sì, la Trinità intera vive questo dolore per noi. La croce è un evento di tutta la trinità e così rivela Dio.
Così commenta don Tonino: «Quante croci, di fronte alle quali il volto del Padre si oscura, come se fossero ostacoli ineluttabili anche per Lui!
Grazie, Trinità Santissima, per questo messaggio di luce, di speranza e di coraggio che ci trasmetti dalle croste di quelle pareti. Io non so se tornerò più a Firenze, a contemplare in questo mistero del tuo “con-soffrire” con gli uomini. Una cosa è certa: continuerò a lottare, perché so che alle spalle ci sei tu e che, quando per me incomberanno le ombre della notte, forse grazie anche all’affresco del Masaccio, mi addormenterò tranquillo tra le tue braccia». (T. Bello, Ti voglio bene. I giorni della Pasqua, La Meridiana-Luce e Vita, Molfetta – Bari 1994, 37-39).
Così vi auguro la Pasqua: nell’abbraccio del Padre.
Tratto dal numero 4 (aprile 2023) de “la Fiaccola”