«Gli uomini che attendono Cristo sono ancora in numero immenso», affermava papa Giovanni Paolo II nell’Enciclica Redemptoris missio sulla permanente validità del mandato missionario, aggiungendo: «Non possiamo restarcene tranquilli, pensando ai milioni di nostri fratelli e sorelle, anch’essi redenti dal sangue di Cristo, che vivono ignari dell’amore di Dio».
Partendo dalle parole di papa Giovanni Paolo II che invitano ad annunciare Cristo al mondo, abbiamo intervistato Ester Brandazza, una giovane studentessa universitaria che ha trascorso sette anni, dal 2003 al 2010, in missione in Camerun. Durante questa esperienza, Ester non era sola, ma accompagnata dalla sua numerosa famiglia, composta dai due genitori e dieci fratelli.
Cosa significa per te andare in missione?
Intraprendere una missione rappresenta un profondo e trasformativo impegno, che va ben oltre il semplice cambio di luogo. Quest’esperienza assume un significato più ampio, incarnando un vero e proprio impegno nel vivere con semplicità il quotidiano radicato nella fede. Il nostro intento è mantenere uno spirito missionario che permei ogni aspetto della nostra esistenza. La nostra partenza in missione non è stata guidata dalla ricerca attiva di persone bisognose; piuttosto, ci siamo affidati con fiducia al Signore,
lasciando che la sua saggezza ci guidasse verso coloro che necessitavano di sostegno. Sia che si tratti di amici di scuola, colleghi o incontri casuali, cerchiamo di essere strumenti della presenza di Cristo, porgendo una mano amica a coloro che attraversano il nostro cammino.
Un insegnamento che hai appreso?
Amare il prossimo senza condizioni. Vi faccio un esempio, così si capisce. Dopo due anni passati in Camerun, una sera, mentre io e i miei fratelli giocavamo in giardino, una banda di ladri ha improvvisamente fatto irruzione in casa nostra, alla ricerca di denaro, minacciandoci. Nonostante il ricordo doloroso di quel momento, ciò che rimane impresso nel mio cuore è la reazione di mio padre, che ci ha esortato a pregare per i ladri e a chiedere il bene per le loro vite.
Puoi raccontarci un’esperienza che ha avuto un impatto sulla tua fede?
L’esperienza che ha avuto un impatto profondo sulla mia fede è stata la perdita di due gemelle da parte di mia madre. Inizialmente ho reagito ribellandomi contro la fede. Tuttavia, durante un incontro in cui condividevamo questa difficoltà, mia madre mi ha risposto in un modo che ha suscitato in me una
riflessione profonda. Questo momento è stato per me una svolta, spingendomi a cambiare e a crescere nella fede. Mi sono resa conto che non guardavo l’evento accaduto con lo sguardo aperto alla vita eterna. Non ho immediatamente accettato questa risposta, ma riflettendo su di essa, ho iniziato a comprendere che esiste una vita eterna al di là della vita terrena. Questo momento ha rappresentato uno sblocco
fondamentale nella mia relazione con Dio.
In che modo questa esperienza ha influito sulla tua quotidianità?
In maniera estremamente positiva, la mia esperienza in missione ha costituito le basi della mia fede, influenzando significativamente la mia vita quotidiana. Mi ha permesso di vivere la Chiesa e il rapporto con Dio in modo più intenso, contribuendo al costante accrescimento della mia fede. Nonostante la consapevolezza della mia fragilità, riconosco che la missione e la partecipazione attiva alla vita della Chiesa rappresentano il fondamento che mi sostiene, consentendomi di abbracciare una vita autentica e di godere della vera felicità in comunione con Dio.
Tratto dal numero 1 (Gennaio 2024) di “Fiaccolina”